31 luglio 2010

Collo di Bottiglia





   Se chiedessi a cosa pensate leggendo questo titolo, probabilmente le risposte che riceverei sarebbero le più svariate. A me, il collo della bottiglia fa pensare a una strettoia, a un canale angusto attraverso il quale è difficile passare, ma in fondo al quale si vede una luce.
   Quando il Manzoni, nel suo romanzo I Promessi Spesi, racconta la scena in cui Don Abbondio incontra i Bravi, narra di una situazione in cui il protagonista si infila in una situazione sgradita, da cui però non può esimersi. Una strettoia da cui deve per forza passare, un collo di bottiglia da attraversare per poter andare oltre.
   Tratto dal 1° capitolo de I Promessi Sposi: […]Che i due descritti sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a Don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi versi, che l’aspettato era lui. […] Domandò subito in fretta a sé stesso, se tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no.[…]Che fare? Tornare indietro non era tempo; darla a gambe era lo stesso che dire inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro perché i momenti di quell’incertezza erano allora così penosi per lui che non desiderava altro che d’abbreviarli.[…].
   È curioso, leggendo tra le righe, cogliere nelle parole del Manzoni un insegnamento che è sempre attuale: seppur difficile, complicato o sgradevole, si deve fare ciò che è giusto o necessario fare. Le situazioni vanno affrontate man mano che succedono e, spesso, la vita non ci da molte alternative.
   Ripensando a momenti passati della nostra vita, quante volte il pensiero si sofferma a simili situazioni? Potrebbe essere l’incontro chiarificatore con una persona che non avremmo mai voluto vedere, o la decisione su quali parole usare per rompere una relazione con il nostro lui/lei o, peggio, comunicare qualche notizia terribile a qualcuno che ci sta vicino. E come abbiamo reagito?
   Se avessimo avuto sempre in mente le parole del Manzoni, avremmo tirato un forte sospiro e affrontato il problema, ma spesso non è stato così e, sicuramente, non perché del paragrafo di Don Abbondio e dei Bravi non abbiamo memoria.
   Ricordo una situazione che mi fece sorridere, nonostante il momento non fosse particolarmente ilare. Ero in sala travaglio, alle prese con l’ennesima ondata di doglie, stremata dalle precedenti 29 ore e senza nessuna consapevolezza di quando sarei stata in prossimità del traguardo, quando nel letto a fianco al mio arrivò un’altra partoriente. Lei, in preda a dolori che non riusciva a gestire, urlava di non voler più continuare. A tale esternazione, una vecchia ostetrica di innegabile esperienza, disse serafica: cara, quel bimbo ormai c’è e deve uscire da dove è entrato. Io sorrisi, subito frenata dall’ennesima doglia, ma alla mia vicina di letto quelle parole (banali, a dire il vero) giunsero come una illuminazione. Le diedero una forza che fino al momento prima credeva di non avere: la consapevolezza che, arrivata a quel punto, doveva andare fino in fondo.
   Certo, alla natura non si può chiedere di temporeggiare, ma in altre situazioni della quotidianità, quando la tempestività non risulta essere così palese, perché cerchiamo di aggirare l’ostacolo? Posso comprendere chi non vuole arrecare dolore a un congiunto rivelando verità drammatiche, ma in situazioni relative a normali rapporti umani perché si tende ad evitare l’inevitabile? C’è chi, pur di sfuggire al collo di bottiglia, si inerpica su strade parallele (quelle che nemmeno Don Abbondio ha decretato essere logicamente percorribili) disseminando bugie e vaporizzando fumi e nebbie al solo scopo di evitare una decisione da prendere o il peso di una relazione da rompere. Con la speranza che, forse, mettendo la testa sotto la sabbia si possa evitare l’inevitabile?
   Claudio Lolli, un cantautore romano che ascoltavo in gioventù, cantava di chi passava tutta la vita, aspettando Godot. Fino alla morte. A volte mi domando come si possa vivere aspettando e temporeggiando e, pur nella consapevolezza che il carattere varia a seconda delle persone, ritengo la scelta di Don Abbondio quella ottimale: è inutile e penoso tentare di schivare (o ignorare) la strettoia che ci si pone innanzi. Meglio affrontare la situazione, a mente serena e a testa alta, con i propri tempi e le modalità che più ci confanno, consapevoli che a volte procurare o subire dolore (fisico o morale) è inevitabile.
   Affrontare il problema (una separazione, un tradimento, una brutta notizia…) senza girarci troppo attorno. Farlo senza risentimento o cattiveria, ovviamente, ma con la massima concretezza, perchè indorare la pillola non serve a molto e, anzi, se chi ci sta di fronte ha l’impressione di non ascoltare la verità l’effetto che si ottiene dalle nostre azioni o parole è di ingarbugliare ancora di più la situazione anziché risolverla.
   La vita è difficile, ma va affrontata. Sempre. Perché in fondo al collo di bottiglia, c’è la luce.

Susanna 06.05.2010

4 commenti:

Gianna ha detto...

Bellissimo post che condivido.

Tomaso ha detto...

Ormai non mi stupisco più, nei tuoi post trovo molto da imparare, di questo ti ringrazio.
Buona domenica cara Kimmi.
Ti lascio il mio tipico abbraccio forte,
Tomaso

Susanna ha detto...

@Stella: Condivisione, una cosa che amo molto.
Grazie!

Susanna ha detto...

@Tomaso: i tuoi "tipici abbracci" sono molto graditi!
Sono io che imparo da te!

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